Note di Giuseppe Camerlingo
Credo che l’interesse principale di questa partitura consista nell’aspetto diacronico: l’arco di civiltà musicale (e in particolare di civiltà napoletana) sotteso dall’intervallo di 75 anni trascorsi fra la composizione dello Stabat pergolesiano (1735) e la sua trascrizione da parte di Paisiello (1810).
Giova ricordare che solo nel 1829, 19 anni dopo la pubblicazione di questa partitura, Mendelssohn eseguì la Passione secondo Matteo di Bach, dando avvio quindi, secondo la storiografia germanocentrica, alla riscoperta della musica “antica” e alla pratica dell’esecuzione del repertorio.
La grande differenza consiste nel fatto che lo Stabat Mater di Pergolesi, a differenza della Passione bachiana, dal momento della sua composizione non era mai stato dimenticato. Il rapporto con la tradizione in Italia era molto più normale e l’esecuzione di Paisiello dello Stabat di Pergolesi non ha costituito, come nel caso di Mendelssohn, un avvenimento epocale. E infatti questo rapporto costante ha fatto si che Paisiello si sentisse in dovere di rispettare l’originale, come é sottolineato sul frontespizio della partitura. Un attegiamento “filologicamente” rispettoso, ciò che non hanno avuto altri compositori che hanno trascritto la medesima partitura rielaborando vistosamente il testo.
Questa stratificazione prospettica intrinseca nella lettura odierna della partitura di Paisiello ha informato le scelte esecutive.