L’Orchestra del Conservatorio di Avellino, diretta dal maestro Giuseppe Camerlingo, riporta lo Stabat Mater di Paisiello dove esordì due secoli fa
Recensione della rivista online “Critica Classica” del concerto realizzato alla Cappella del Tesoro del Duomo di Napoli il 16 settembre 2018
Lo Stabat Mater, sequenza in latino del XIII secolo, attribuita al francescano Jacopone da Todi, che descrive mirabilmente l’angoscia e la sofferenza della madre di Dio ai piedi della Croce, è stato utilizzato come testo per numerose composizioni.
La più nota risulta sicuramente quella per soprano, contralto, archi e basso continuo, scritta da Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), a seguito di una richiesta ricevuta nel 1736 dalla confraternita napoletana dei Cavalieri della Vergine dei Dolori di San Luigi al Palazzo.
Secondo la tradizione, l’autore iesino completò lo Stabat nel convento dei Cappuccini di Pozzuoli, luogo salubre dove si era recato per cercare di contrastare la tubercolosi che lo aveva colpito, poche ore prima di morire, il che accese la fantasia popolare, favorendo una diffusione ed una notorietà del brano, rimaste inalterate fino ai nostri giorni.
Poco più di 70 anni dopo, il 16 settembre 1810, in occasione della festività della Beata Vergine Addolorata, Giovanni Paisiello (1740-1816) propose una sua versione dello “Stabat Mater del Pergolese”, eseguita nel Duomo di Napoli, avendo cura di sottolineare “…senza dipartirsi dell’originalità…”
Un’avvertenza nata soprattutto allo scopo di difendersi da eventuali critiche degli appassionati più intransigenti, ma non proprio rispondente all’effettiva realtà perché, pur rispettando sostanzialmente la partitura pergolesiana, Paisiello rinforzò l’organico con un buon numero di strumenti a fiato e due voci maschili (alle quali affidò alcune arie e duetti dell’originale, abbassate di un’ottava), preoccupandosi di inserire anche piccole modifiche, con un risultato complessivo che indirizzava maggiormente verso effetti operistici e finiva con impoverire la forte drammaticità insita nella composizione.
A distanza di 208 anni il brano è stato riproposto, nella Cappella del Tesoro di San Gennaro del Duomo di Napoli, dall’Orchestra del Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino, diretta da Giuseppe Camerlingo (che del brano è uno dei massimi esperti, avendone curato la prima registrazione mondiale nel 2000), con la partecipazione di un quartetto vocale formato da Rosalba Eroico (soprano), Marina Esposito (contralto), Pasquale Tizzani (tenore) e Roberto Gaudino (basso).
La serata si è aperta con un interessante e dotto intervento di monsignor Vincenzo De Gregorio, che ha fatto gli onori di casa in qualità di Abate Prelato della Cappella del Tesoro di San Gennaro.
Nella sua disquisizione De Gregorio ha sottolineato il ruolo fondamentale della chiesa cattolica nel diffondere la musica in tutto l’Occidente e accoglierne le progressive novità lungo i secoli, soffermandosi poi sulla storia della nascita della Cappella del Tesoro, edificata nella prima metà del Cinquecento, a seguito di un voto dei fedeli (in realtà un vero e proprio contratto, stipulato alla presenza del notaio, fra il popolo e San Gennaro), che nel 1527 avevano implorato il patrono della città di porre fine alla guerra, all’epidemia di peste ed alle eruzioni molto violente del Vesuvio, ottenendo le grazie richieste.
Infine, ha voluto descrivere, per sommi capi, le opere d’arte che abbelliscono la Cappella, fra le quali si annoverano un busto in oro e argento di San Gennaro, risalente al 1307, al quale nel Settecento venne aggiunta una mitra (il tipico copricapo vescovile) contenente 3328 diamanti, 198 smeraldi e 168 rubini, realizzata dall’orafo Matteo Treglia, e i 51 busti in argento massiccio dei compatroni di Napoli.
In questo scenario spettacolare, caratterizzato anche da una buona acustica, l’Orchestra del Conservatorio “Domenico Cimarosa” di Avellino, ben guidata dal maestro Camerlingo, ha fornito una prova di elevato livello, evidenziando una sezione di archi molto compatta e fiati di notevole nitidezza, all’altezza del loro compito e mai preponderanti, per cui l’insieme appariva omogeneo ed equilibrato, con il risultato di limitare molto la tendenza operistica e salvaguardare i momenti di maggiore suggestione.
Bravi anche i quattro cantanti, con il duo formato dal soprano Rosalba Eroico e dal contralto Marina Esposito, apparso leggermente superiore a quello costituito dal tenore Pasquale Tizzani e dal basso Roberto Gaudino (si tratta di un giudizio personale che scaturisce dall’aver ascoltato innumerevoli volte lo Stabat pergolesiano, notoriamente privo di voci maschili).
Pubblico numerosissimo ed attento, che ha resistito piuttosto bene al caldo infernale della serata, dando prova di grande maturità e riuscendo addirittura a non applaudire fra un movimento e l’altro (cosa che accade quasi sempre quando si esegue lo Stabat Mater di Pergolesi).
Il merito di questo comportamento virtuoso va equamente suddiviso, a nostro parere, fra la particolare atmosfera di un luogo unico come la Cappella del Tesoro di San Gennaro, ed il carisma degli interpreti, questi ultimi protagonisti di un evento riuscitissimo, che ha omaggiato la Beata Vergine Addolorata, celebrando nel contempo l’ultimo grande musicista della scuola napoletana del Settecento.
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